Una finestra culturale su Dante Alighieri (a cura di Giacomo Criscenti e Martina Santoni)

Dante Alighieri nacque a Firenze nel 1265 e morì, esiliato dalla sua città, a Ravenna nel 1321.
Indubbiamente si è soliti iniziare nel seguente modo un saggio, un convegno o anche una semplice discussione su Dante, soprattutto se si prende le mosse dalla biografia di quest’ultimo.
Noi, invece, vogliamo introdurre la figura del nostro amato poeta, simbolo della fiorentinità nel mondo, in maniera singolare e, per così dire, emotiva. Pertanto, intendiamo analizzare la vita del sommo poeta procedendo ad una scansione tematica di alcune caratteristiche meramente dantesche, soffermandoci su di esse da un’angolatura tutta fiorentina.

Dante e Firenze: L’amore dell’Alighieri per la sua città, nonostante l’esilio e le nefaste vicissitudini subite dal poeta per la sua fiera militanza nelle file dei guelfi bianchi, insieme alla Commedia rappresenta, forse, uno degli aspetti biografici di Dante più conosciuti al mondo ed è, indubbiamente, la sintesi più efficace e meglio riuscita dell’inalienabile e indistruttibile amore dei fiorentini per la loro Firenze, città tra le più belle al mondo, ma prima ancora cara amica e insostituibile confidente per ogni suo cittadino.

Dante e Beatrice: Quando parli di Dante non puoi non parlare di Beatrice. E quando parli di Beatrice non puoi non pensare ad una creatura angelica, emblema di bellezza, sensibilità, femminilità. E’ proprio la magia che trascende dalla Beatrice dantesca che costituisce uno dei tratti salienti dell’intera opera dell’Alighieri e che, secondo il nostro modesto punto di vista, dà una rappresentazione dell’amore forse illusoria ma al contempo vicina ai sogni di ognuno di noi.

Dante e la lingua: Dante con il suo “volgare” fiorentino è stato capace di unire l’eleganza e la raffinatezza della cultura classica con la lingua del volgo, precorrendo i tempi e confezionando quello che oggi conosciamo con la denominazione di italiano, tanto che lo stesso Manzoni, nell’Ottocento, decise di “risciacquare i panni in Arno”.

Dante e la poesia: Dante, nel classicismo del suo formalismo strutturale, va oltre il sonetto e ogni altro tipico ed elegante stile poetico. Dante comunica il suo messaggio e trasmette le sue passioni attraverso i versi, ma indubbiamente la sua poesia va oltre i confini della stessa e si configura anche e soprattutto come un testo narrativo, in grado quest’ultimo di perpetuare un messaggio serio e complesso sia pur mascherato nella musicalità e raffinatezza del suo linguaggio.

Dante e il continuo divenire del suo messaggio: Passano i decenni, passano i secoli, ma non passa l’attualità del messaggio dantesco, il quale sembra rinnovarsi automaticamente, adattandosi oggi come ieri, oggi forse più di ieri, ai vizi e alle scelleratezze dei fiorentini e degli essere umani in generale. Detto ciò, questo ultimo paragrafo biografico di Dante potrebbe essere intitolato in altri plurimi modi, come, metaforicamente, “il sommo poeta e la sua eternità”.

IL SUO CAPOLAVORO: LA DIVINA COMMEDIA O SEMPLICEMENTE COMMEDIA

La Divina Commedia è un bellissimo strumento che Dante utilizza per mettere in atto una grave denuncia contro la realtà politica e religiosa del suo tempo,caratterizzata dallo scontro tra potere temporale e potere spirituale che, con riferimento al frangente storico e spaziale della società fiorentina, si concretizzò con la scissione tra Ghibellini e Guelfi e poi –come se non bastasse- tra Guelfi Bianchi e Guelfi Neri.Dante, riconoscendo la difficile situazione in cui versava la sua amata città, ricerca i motivi della decadenza fiorentina nel sistema di valori dominante nell’aristocrazia di quel periodo.In particolare, il sommo poeta, nel proemio, attribuisce i motivi della crisi di Firenze, ben rappresentata dall’immagine della “selva oscura”, ai tre vizi connaturati nella personalità dei cittadini fiorentini – non solo del suo tempo- quali la superbia,la lussuria e l’avarizia. Essi sono rispettivamente impersonati dal leone, dalla lonza e dalla lupa, i quali tentano di ostacolare immediatamente il viaggio dantesco.È necessario sottolineare che uno dei motivi di grande fascino di quest’opera risiede nell’esemplare uso della lingua italiana, la quale diviene il mezzo con cui il poeta riesce a calare il lettore nel tessuto sociale fiorentino del 1300, rendendolo partecipe dei sentimenti,delle paure e della rabbia relative alle sorti di Firenze che in quel momento tormentavano la sua anima.Dante, per rendere più tangibile il suo risentimento, non esita a ricorrere ad uno stile volgare per inveire contro i personaggi e le caricature infernali; al contrario, attraverso lo stile aulico, massima espressione di raffinatezza ed eleganza, descrive le angeliche creature del Paradiso.Oltre che per l’aspetto linguistico, l’estrema perfezione del lavoro dantesco traspare anche nel modo in cui esso è strutturato. Dante, infatti, pone alla base della sua opera il numero tre -espressione della Santissima Trinità- ed i suoi multipli. Non a caso, la Divina Commedia risulta divisa in tre cantiche: Inferno, Purgatorio e Paradiso; a sua volta, ciascuna di esse consta di trentatré canti a cui va aggiunto il proemio con il quale il poeta focalizza l’attenzione del lettore sulle cause che lo spingono ad intraprendere il suo viaggio ultraterreno.Sono proprio questi e molti altri –sui quali per motivi di spazio non ci è possibile dilungarci- le ragioni che consacrano Dante vero padre della lingua italiana, ma anche e soprattutto critico e testimone appassionato delle vicende che in quel periodo sconvolgevano e mutavano la società fiorentina, segnandone un passaggio decisivo nell’evoluzione storica.